J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
La "magica" Bologna di Ivan Dimitrov Ci passiamo davanti una volta, dieci volte, cento volte. E non succede niente. Poi, improvvisamente, come un volto svelato, un verso che torna alla memoria, un' immagine che scoppia dentro, ci fermiamo incantati di fronte ad una porta incastrata nella pietra, ad un angolo di portico, al rancido di un colore o al largo improvviso di una piazza. Bologna è fatta così. Non ha la sfacciata e firmata bellezza del Maestro dell'arte o il "glamour" patinato della cartolina che va in tutto il mondo. La sua architettura è fatta di silenzi, di vissuti particolari, di calde e improvvise scoperte. E' un processo induttivo che lievita da una colonna, da qualche sbrecciato gradino, da un'ombra d'arco, da un taglio di strada. Nel gioco del ricordo e della ricerca del tempo perduto la città ti resta dentro per uno o pochissimi particolari quasi che poche tessere facessero mosaico. Ivan Dimitrov è l'artista che ha capito e tira fuori quel particolare. Nella serie dei suoi bassorilievi, Bologna riconquista sapori autentici, quasi tattili, abile come è lo scultore a rapinare quei particolari di immagine che consegnano insieme storia e ricordo. Ma sbaglierebbe che cercasse nella Bologna di Dimitrov solo gli incanti e la poesia del passato.La stessa struttura del bassorilievo consente di leggere questi angoli quasi a camminarci dentro:le architetture si fanno, di volta in volta, scena o palcoscenico e la fantasia è tentata di immaginare quale vita abbia potuto scorrere sotto i portici, nelle piazze o nei cortili che l'artista anima di invisibili presenze. E' una città nuova che aggredisce ed incanta, sempre vista e vissuta le cui inquadrature assumono i toni del magico così come come Fellini, in cinema, reinventa la sua Rimini. Perchè, a ben guardare, il fascino delle opere di Dimitrov è proprio questo: la verità della pietra e delle situazioni che lo scultore presenta perdono progressivamente peso e spessori per porgersi come estrapolazione fantastica, come riscrittura di una città che finisce per non essere più quella tanto è il sogno che ci abita dentro. Testo di Valerio Grimaldi |