"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Gli Articoli di Benito:

LE CHIESE DEDICATE A SAN MICHELE ARCANGELO SUI MONTI DELL’APPENNINO BOLOGNESE E LE COMUNITà LONGOBARDE (2024-08-14)



Insediamenti di Goti barbari che avevano invaso le terre d’Italia dell’Impero Romano d’occidente nel quarto secolo d.C. vi erano nel nostro appennino e anche nella toponomastica ve ne è rimasto il segno: Monghidoro, Mons Gothorum, monte dei Goti, Barberino, terra dei Barbari.

Il grande storico tedesco Theodoro Mommsen nella sua “Storia di Roma” definì il crinale appenninico “linea Gotica” nome ripreso dallo Stato Maggiore tedesco nella seconda guerra mondiale per indicare la linea di difesa fortificata che correva sullo spartiacque appenninico dalle Apuane di Massa Carrara a Rimini.

La Guerra contro i Goti fatta dall’Impero Romano di Bisanzio con un esercito greco- bizantino durò dal 535 al 553 d.C. quasi vent’anni e si concluse con la sconfitta dei Goti e fu descritta dallo storico Procopio di Cesarea. Ravenna tornò ad essere con i territori circostanti terra romana da cui il nome Romagna.

Diventa capitale dell’Esarcato dal 584 al 751 d.C., castra bizantini vennero posti a difesa da Oriente a Occidente trasversalmente alle valli Appenniniche.

Le ricerche dello storico P.M. Conti nel suo libro “L’Italia Bizantina” nella “Descriptio orbis Romani” di Giorgio Ciprio geografo bizantino del settimo secolo hanno individuato una linea di castra trasversalmente alle valli appenniniche tra cui vi riporto

Castro Sagga Castel dell’Alpi nell’alta valle del Savena
Castro Samoggia nella valle del torrente Samoggia
Castro Nobo Castelnuovo di Vergato sopra la confluenza del torrente Aneva nel Reno

Lo storico Amedeo Bennati nel libro “I confini altomedievali fra Bologna e Imola” fa notare che ad oggi i confini meridionali dei territori della provincia di Bologna non giungono allo spartiacque dell’Appennino ma si fermano a metà delle valli retaggio della antica linea di confinazione.

A Ponte alla Venturina dove il Reno incontra a valle il torrente Limetra ”limes” vi è confine tra Toscana ed Emilia al di qua dello spartiacque, anche le sorgenti del torrente Savena sono in territorio toscano che arriva oltre lo spartiacque a Cà del Barba e a Cà Sabatino e così pure Marradi e Firenzuola nelle valli del Lamone e Santerno.

I castra greco-bizantini furono linea di difesa dai Longobardi, che, nel 567, invasa l’Italia, inglobarono le enclave gotiche disperse nel nostro Appennino e cercavano di raggiungere Ravenna.

I Longobardi entrati in Italia dalle Alpi Giulie, avevano occupato il Friuli, la Lombardia che da loro prende il nome poi passando l’Appennino nell’alta lunigiana erano entrati in Toscana occupandola “Tuscia Longobarda” e spingendosi lungo la dorsale Appenninica erano giunti a Spoleto e Benevento a Monte S. Angelo sul Gargano e a Salerno.

Dalla Tuscia Longobarda si spinsero oltre la metà delle vallate Appenniniche dove vi erano i castri bizantini, nella valle del Savena vi sono due toponimi greci di luoghi segni di questo momento storico: “panicale” pan-kalos (luogo) tutto-bello “pantamose” pan-muse luogo tutto muse. “Panicale” dall’etimo greco “Pan-Kalos” è luogo posto tra Castel dell’Alpi l’antico Castro Sagga bizantino e Piamaggio dall’etimo latino “piana maior” vicino a Monghidoro “Mons Gothorum” monte dei Goti.

I Longobardi scesi dalla Tuscia Longobarda li ritroviamo nella valle del Reno e a Monte Vigese.

Nel settimo e ottavo secolo d.C. convertitosi alla Religione cristiana essendo un popolo di guerrieri, arimanni uomini liberi, presero come patrono San Michele Arcangelo rappresentato con in pugno la spada per colpire il Demonio e le forze del Male.

Di queste antiche comunità Longobarde stanziate nel nostro Appennino resta traccia nel culto religioso e nelle chiese successivamente costruite e dedicate a S. Michele Arcangelo che riporto di seguito:
-Chiesa di Le Mogne a Camugnano verso la Toscana
-Chiesa di Grizzana posta nel valico tra le valli del Reno e Setta
-Chiesa di Baragazza nella valle del Setta verso il passo delle Futa
-Chiesa di Sparvo nella valle del Brasimone
-Chiesa di Brigola sul monte tra le valli del Sambro e del Savena
-Chiesa di Cavrenno nella alta valle dell’Idice verso il passo delle Raticosa, dipendente dalle Pieve di Monghidoro
-Chiesa di Campignano nell’alta valle del Reno
-Chiesa di Gaggio Montano dedicata a San Michele nella valle del torrente Silla

I toponimi latini nella valle del Setta località confienti “confluentes” confluente, dove il torrente Brasimone confluisce alla sinistra del torrente Setta e “Lagaro” “ager” campo e sulla destra del Setta monte Acuto Vallese “Vallum” linea fortificata e monte Armato sono indizi di una limitazione confinaria tra comunità longobarde e bizantine.

La Chiesa di Lagaro è dedicata a San Mamante santo del III secolo venerato nell’Oriente Bizantino con San Basilio ed è un indizio di influenze greco-bizantine, e anche a Lizzano in Belvedere vi è una chiesa dedicata a San Mamante.

La chiesa di Castel dell’Alpi dedicata a San Biagio martire armeno del III secolo d.C.
venerato nelle chiese d’Oriente ci riporta alla radice di questa devozione religiosa forse risalente al VII secolo e al tempo del Castro Sagga bizantino.

In Toscana “Tuscia Longobarda” varie chiese son dedicate a San Michele.

A Serravalle sul valico tra la valle del torrente Ombrone e della Nievole tra Pistoia e Montecatini dove vi è un borgo munito di torri dell’alto medioevo vi è la chiesa dedicata a San Michele e vi era una comunità Longobarda.

Anche a Lucca vi è una chiesa di San Michele, a Pisa chiesa San Michele in Borgo e San Michele degli Scalzi e su una lastra di marmo murata ad altezza d’uomo a sinistra della porta della Chiesa di S. Frediano vi è una scritta apotropaica dell’ VIII secolo di epoca longobarda incisa su una lastra di marmo di dimensioni 26 cm x 147 cm che spicca sulla facciata di pietra della verruca con triplice serie di segni alfabetici col nome Mihili variante longobarda del nome Michael e la stilizzazione in particolare della lettera I in forma di triangolo simbolo della Trinità e infine il segno della croce che precede e segue ogni invocazione.

Tutto ciò ha funzione apotropaica dell’epigrafe nei confronti del maligno e del male.

Detta scritta è riportata dal medioevalista professor Ottavio Banti nel suo libro “Monumenta historica epigrafica pisana” “† Mikili † Mikili † Mikili †” invocazione all’Arcangelo a tenere lontano le forze del Male Scritta apotropaica su lastra di marmo cm 26 x cm 147.

Anche nel Friuli occupato dai longobardi vi sono tante chiese dedicate a S. Michele Arcangelo una a Tarvisio e anche in Puglia sul Gargano a Monte S. Angelo, dove vi era una comunità longobarda.

La devozione a San Michele Arcangelo si estende in molti paesi d’Europa e dell’Oriente con ben sette santuari posti in Islanda Skelling Michael, in Inghilterra ST.
Michael’s Mount, in Normandia Francia Le Mount Saint-Michel, in Italia la Sacra di S.
Michele sulle Alpi, e a Monte Sant’Angelo sul Gargano, in Grecia isola di Simi monastero san Michele a Panormitis, in Israele Monastero S. Michele sul Monte Carmelo.

Sono posti su una linea retta che taglia l’Europa e si estende per 3.600 Km partendo dall’Islanda e arrivando a Israele, la misteriosa linea sacra di San Michele che secondo la tradizione corrisponde al colpo di spada dato da S. Michele per allontanare le forze del Male e il Demonio dalla terra.

Le chiese del nostro appennino dedicate a San Michele Arcangelo ci riportano all’alto Medioevo quando comunità Longobarde si erano insediate sui passi sopra le valli del Setta, Sambro, Reno, Savena e Idice convertendosi al cristianesimo.