"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva
dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra;
spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: L'ECCIDIO DI CA' DEL BUE prima parte (2013-03-18)
1944 La verità sulla rappresaglia di Cà del Bue
<<Erano circa le 9 di mattina del 5 agosto del 1944 quando sentimmo delle raffiche di mitra provenire dalla cima di Tramonti dove si era insediata la base partigiana della 63° brigata Garibaldi Bolero. Poco prima erano transitati vicino al nostro podere 4 soldati tedeschi a cavallo che si erano diretti in quella zona>>. Così inizia il racconto di Ruggero Neri classe 1936 unico testimone ancora vivente dell’eccidio di Cà del Bue. Ma cosa era successo quella mattina? I soldati tedeschi a cavallo, provenienti dal comando di Montasico si erano incautamente inoltrati nei boschi al confine tra Monte San Pietro e Marzabotto, dove i partigiani erano stati colti di sorpresa, essendo ancora intorpiditi dal sonno o indaffarati nelle quotidiane attività mattiniere. Probabilmente si sarebbero potuti prendere prigionieri i 4 tedeschi, anche perché c’era l’ordine di non sparare ai tedeschi se non costretti, proprio al fine di evitare rappresaglie sulla popolazione e pochi giorni prima a San Chierlo il comandante Marino aveva ottenuto una tregua con i tedeschi. Ma con i se e con i ma non si fa la storia e quindi, il partigiano di guardia non ci pensò più di tanto: sparò “al tòdasch” più vicino che cadde fulminato con il suo povero cavallo ferito alla coscia mentre gli altri tre tedeschi riuscirono a fuggire, dando l’allarme al comando. Nel frattempo Attilio Neri, che aveva udito le raffiche di mitra, capì subito che era successo quello che non avrebbe dovuto succedere e ordinò a suo figlio Ruggero di quasi 9 anni, protagonista di questo racconto, d’andare a mettersi di guardia sul prato sopra casa per vedere se dall’altra parte della collina i Buganè stendevano alla finestra il lenzuolo bianco. Quello era il segnale convenuto tra le due famiglie per avvisare dell’imminente arrivo di soldati tedeschi. Alle 11 e 30 Ruggero vide il lenzuolo appeso alla finestra dei Buganè e corse ad avvisare la sua famiglia che si apprestava a pranzare: <<Il nonno Dionigio si rifiutò di uscire di casa- racconta Ruggero- non aveva mica paura dei tedeschi lui, mentre mio padre mi prese sotto braccio e di corsa andammo a Cà Corticelli dal nostro vicino Francesco Betti per avvisarlo del pericolo>>. Mentre i due correvano nel campo dei Betti, videro alla loro sinistra la colonna dei tedeschi provenienti da Montasico a mezz’ora di cammino da loro e il Betti che era nell’orto: << Francesco!- urlò il papà di Ruggero - arrivano i tedeschi!>> Francesco Betti era un soldato del dissolto Regio esercito proveniente dalla campagna militare di Croazia e aveva ottenuto il congedo perchè era rimasto l’unico della sua famiglia a poter coltivare il podere. A casa Betti c’era la moglie che aveva appena partorito una bella bimba di 12 giorni e altri due figli piccoli. I tedeschi non se la sarebbero presa con donne e bambini, sarebbe bastato che lui si nascondesse ma non se la sentiva di lasciar sua moglie e i suoi figli in balia dei soldati. Ci pensò Attilio Neri a convincere Betti: << te Ruggero – disse mio papà- và da tua madre e digli di venir qui a badare la moglie di Betti>> mentre Ruggero si precipitava giù a casa per riferire il messaggio alla mamma, il Betti perse tempo prezioso nel voler andare a prendere la giacca in casa “perché non si può mica sapere per quanto tempo si sta alla macchia”. Quella decisione costò molto cara al Betti: mentre Attilio Neri lo aspettava ai margini del podere, vide che la casa veniva accerchiata da una squadra di tedeschi provenienti da Vedegheto e prontamente si nascose riuscendo a scivolare dentro il bosco.
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: L'ECCIDIO DI CA' DEL BUE prima parte (2013-03-18)
1944 La verità sulla rappresaglia di Cà del Bue
<<Erano circa le 9 di mattina del 5 agosto del 1944 quando sentimmo delle raffiche di mitra provenire dalla cima di Tramonti dove si era insediata la base partigiana della 63° brigata Garibaldi Bolero. Poco prima erano transitati vicino al nostro podere 4 soldati tedeschi a cavallo che si erano diretti in quella zona>>. Così inizia il racconto di Ruggero Neri classe 1936 unico testimone ancora vivente dell’eccidio di Cà del Bue. Ma cosa era successo quella mattina? I soldati tedeschi a cavallo, provenienti dal comando di Montasico si erano incautamente inoltrati nei boschi al confine tra Monte San Pietro e Marzabotto, dove i partigiani erano stati colti di sorpresa, essendo ancora intorpiditi dal sonno o indaffarati nelle quotidiane attività mattiniere. Probabilmente si sarebbero potuti prendere prigionieri i 4 tedeschi, anche perché c’era l’ordine di non sparare ai tedeschi se non costretti, proprio al fine di evitare rappresaglie sulla popolazione e pochi giorni prima a San Chierlo il comandante Marino aveva ottenuto una tregua con i tedeschi. Ma con i se e con i ma non si fa la storia e quindi, il partigiano di guardia non ci pensò più di tanto: sparò “al tòdasch” più vicino che cadde fulminato con il suo povero cavallo ferito alla coscia mentre gli altri tre tedeschi riuscirono a fuggire, dando l’allarme al comando. Nel frattempo Attilio Neri, che aveva udito le raffiche di mitra, capì subito che era successo quello che non avrebbe dovuto succedere e ordinò a suo figlio Ruggero di quasi 9 anni, protagonista di questo racconto, d’andare a mettersi di guardia sul prato sopra casa per vedere se dall’altra parte della collina i Buganè stendevano alla finestra il lenzuolo bianco. Quello era il segnale convenuto tra le due famiglie per avvisare dell’imminente arrivo di soldati tedeschi. Alle 11 e 30 Ruggero vide il lenzuolo appeso alla finestra dei Buganè e corse ad avvisare la sua famiglia che si apprestava a pranzare: <<Il nonno Dionigio si rifiutò di uscire di casa- racconta Ruggero- non aveva mica paura dei tedeschi lui, mentre mio padre mi prese sotto braccio e di corsa andammo a Cà Corticelli dal nostro vicino Francesco Betti per avvisarlo del pericolo>>. Mentre i due correvano nel campo dei Betti, videro alla loro sinistra la colonna dei tedeschi provenienti da Montasico a mezz’ora di cammino da loro e il Betti che era nell’orto: << Francesco!- urlò il papà di Ruggero - arrivano i tedeschi!>> Francesco Betti era un soldato del dissolto Regio esercito proveniente dalla campagna militare di Croazia e aveva ottenuto il congedo perchè era rimasto l’unico della sua famiglia a poter coltivare il podere. A casa Betti c’era la moglie che aveva appena partorito una bella bimba di 12 giorni e altri due figli piccoli. I tedeschi non se la sarebbero presa con donne e bambini, sarebbe bastato che lui si nascondesse ma non se la sentiva di lasciar sua moglie e i suoi figli in balia dei soldati. Ci pensò Attilio Neri a convincere Betti: << te Ruggero – disse mio papà- và da tua madre e digli di venir qui a badare la moglie di Betti>> mentre Ruggero si precipitava giù a casa per riferire il messaggio alla mamma, il Betti perse tempo prezioso nel voler andare a prendere la giacca in casa “perché non si può mica sapere per quanto tempo si sta alla macchia”. Quella decisione costò molto cara al Betti: mentre Attilio Neri lo aspettava ai margini del podere, vide che la casa veniva accerchiata da una squadra di tedeschi provenienti da Vedegheto e prontamente si nascose riuscendo a scivolare dentro il bosco.