"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva
dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra;
spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: CA' DEL BUE seconda parte (2013-03-18)
Francesco Betti fu prelevato insieme a moglie e figli, così come furono presi tutti quelli della famiglia di Ruggero Neri ad eccezione del papà Attilio che era riuscito a nascondersi: <<il nonno Dionigio fu portato via mentre stava dando la prima forchettata alla sua tagliatella, - racconta Ruggero- così come furono prelevate la mamma e la nonna. La zona era piena di tedeschi e i partigiani se ne erano andati>>. Tutti i rastrellati furono portati nel vicino podere di Cà del Bue e gli uomini furono separati dalle donne. <<Il comandante Tedesco ci portò a vedere il cadavere del tedesco al quale avevano appuntato sulla divisa la foto della moglie e dei figli mentre il cavallo ferito si dimenava agonizzante tra nitriti spaventosi; Francesco Betti prese la sua bimba di 12 giorni in braccio per vedere se i tedeschi lo risparmiavano, ma la bimba gli venne strappata dalle mani e riconsegnata a sua moglie. Il Betti doveva aver già vissuto questi rastrellamenti come soldato là in Croazia perché aveva già capito come sarebbe andata a finire>>. Infatti quando il comandante di Montasico che voleva assolutamente vendicare il suo camerata prelevò i sei uomini destinati alla fucilazione, Betti si mise come capofila, pronto ad approfittare della prima circostanza favorevole. Quando arrivarono al limite del castagneto, l’uomo scappò verso il bosco e una prima raffica lo mancò ma la seconda lo prese alla testa uccidendolo quando si era già addentrato nella macchia. <<Gli altri 5 con il Nonno Dionigio furono fatti allineare tra il castagneto e il campo arato di Cà del Bue e mentre la mamma mi copriva gli occhi furono uccisi>>. Subito dopo Ruggero insieme alla mamma, la nonna con le altre donne e bambini rastrellati in zona, furono portati a Montasico e rinchiusi nella stalla di Cà Comastri insieme ad oltri ostaggi che erano stati catturati da una terza squadra tedesca proveniente da Luminasio. Sarebbero dovuti essere disponibili come ostaggi da sacrificare nel caso in cui i successivi rastrellamenti (che andarono avanti per una settimana) avessero avuto delle vittime tedesche. <<Per fortuna il comandante tedesco era in buoni rapporti con mio zio che era l’oste di Montasico e dopo che l’ufficiale seppe d’aver fatto fucilare suo padre Dionigio, fece liberare per prima mia nonna e due giorni dopo liberarono anche me insieme a mia madre. Dopo qualche giorno furono liberati anche tutti gli ostaggi provenienti da Luminasio>>. Alla fine della guerra Ruggero venne a sapere da suo zio che il giovane tenente tedesco Heinrich Losk, comandante di Vedegheto, che già in precedenza aveva salvato degli ostaggi a Sibano aveva ricevuto l’ordine di eliminare 13 civili: 10 per il tedesco morto e 3 per il cavallo. L’ufficiale riuscì a limitare la condanna e a suo rischio si limitò a verbalizzare che erano stati uccisi 13 ostaggi anziché i 6 di Cà del Bue. Successivamente il biondo tenentino tedesco, che in uno di quegli uomini uccisi gli parve di vedere suo padre, rimase così sconvolto e disgustato da chiedere di tornare al fronte dove trovò la morte a Pianoro. Quello che non è mai stato accertato ufficialmente è chi fu il partigiano che uccise il soldato tedesco, ma dai racconti e dalle testimonianze raccolte, il nome che circola con insistenza è ben noto agli abitanti di quelle zone che ancora oggi ne discutono, sostenendo che quel gesto poteva essere evitato. Don Dario Zanini nel suo celebre “Marzabotto e dintorni” tenne volutamente celato per cristiana riservatezza, con la sigla P.R., il nome dell’uomo che provocò la rappresaglia. Per amore della verità e della storia, senza nessun becero revisionismo di sorta e con tutta la solidarietà alla nostra resistenza che scrisse pagine gloriose e tragiche comunico che Vox Populi afferma sia stato Preci Ruggero di Monte Pastore a ferire mortalmente il tedesco e a permettere agli altri tre suoi camerati di fuggire, dando così l’allarme al comando germanico di Montasico. Il Preci che fu prima repubblichino e che poi si diede alla macchia con i partigiani della “Bolero” fu sentito più volte vantarsi dell’uccisione del tedesco salvo poi ricusare tale azione. A Don Zanini disse: << Eravamo nascosti in mezzo al bosco, sopra Cà di Bue. All’improvviso vidi sbucare un tedesco a cavallo e istintivamente sparai a ripetizione. Io e i miei compagni poi scappammo e ci salvammo. Di tedeschi ce ne dovevano esser altri, ma io vidi solo quello>>. Il Preci fu visto anche partecipare qualche volta alla commemorazione dei defunti, ma fu vero pentimento o era lì solo per accompagnare una figlia delle vittime che per ironia della sorte sposò? Un particolare commovente che fotografa la tragedia di quel 5 agosto del “44 è quel tavolo con il piatto di tagliatelle del nonno Dionigio ormai ammuffite su cui la nonna di Ruggero Neri pianse al ritorno da Montasico.
Claudio Evangelisti
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: CA' DEL BUE seconda parte (2013-03-18)
Francesco Betti fu prelevato insieme a moglie e figli, così come furono presi tutti quelli della famiglia di Ruggero Neri ad eccezione del papà Attilio che era riuscito a nascondersi: <<il nonno Dionigio fu portato via mentre stava dando la prima forchettata alla sua tagliatella, - racconta Ruggero- così come furono prelevate la mamma e la nonna. La zona era piena di tedeschi e i partigiani se ne erano andati>>. Tutti i rastrellati furono portati nel vicino podere di Cà del Bue e gli uomini furono separati dalle donne. <<Il comandante Tedesco ci portò a vedere il cadavere del tedesco al quale avevano appuntato sulla divisa la foto della moglie e dei figli mentre il cavallo ferito si dimenava agonizzante tra nitriti spaventosi; Francesco Betti prese la sua bimba di 12 giorni in braccio per vedere se i tedeschi lo risparmiavano, ma la bimba gli venne strappata dalle mani e riconsegnata a sua moglie. Il Betti doveva aver già vissuto questi rastrellamenti come soldato là in Croazia perché aveva già capito come sarebbe andata a finire>>. Infatti quando il comandante di Montasico che voleva assolutamente vendicare il suo camerata prelevò i sei uomini destinati alla fucilazione, Betti si mise come capofila, pronto ad approfittare della prima circostanza favorevole. Quando arrivarono al limite del castagneto, l’uomo scappò verso il bosco e una prima raffica lo mancò ma la seconda lo prese alla testa uccidendolo quando si era già addentrato nella macchia. <<Gli altri 5 con il Nonno Dionigio furono fatti allineare tra il castagneto e il campo arato di Cà del Bue e mentre la mamma mi copriva gli occhi furono uccisi>>. Subito dopo Ruggero insieme alla mamma, la nonna con le altre donne e bambini rastrellati in zona, furono portati a Montasico e rinchiusi nella stalla di Cà Comastri insieme ad oltri ostaggi che erano stati catturati da una terza squadra tedesca proveniente da Luminasio. Sarebbero dovuti essere disponibili come ostaggi da sacrificare nel caso in cui i successivi rastrellamenti (che andarono avanti per una settimana) avessero avuto delle vittime tedesche. <<Per fortuna il comandante tedesco era in buoni rapporti con mio zio che era l’oste di Montasico e dopo che l’ufficiale seppe d’aver fatto fucilare suo padre Dionigio, fece liberare per prima mia nonna e due giorni dopo liberarono anche me insieme a mia madre. Dopo qualche giorno furono liberati anche tutti gli ostaggi provenienti da Luminasio>>. Alla fine della guerra Ruggero venne a sapere da suo zio che il giovane tenente tedesco Heinrich Losk, comandante di Vedegheto, che già in precedenza aveva salvato degli ostaggi a Sibano aveva ricevuto l’ordine di eliminare 13 civili: 10 per il tedesco morto e 3 per il cavallo. L’ufficiale riuscì a limitare la condanna e a suo rischio si limitò a verbalizzare che erano stati uccisi 13 ostaggi anziché i 6 di Cà del Bue. Successivamente il biondo tenentino tedesco, che in uno di quegli uomini uccisi gli parve di vedere suo padre, rimase così sconvolto e disgustato da chiedere di tornare al fronte dove trovò la morte a Pianoro. Quello che non è mai stato accertato ufficialmente è chi fu il partigiano che uccise il soldato tedesco, ma dai racconti e dalle testimonianze raccolte, il nome che circola con insistenza è ben noto agli abitanti di quelle zone che ancora oggi ne discutono, sostenendo che quel gesto poteva essere evitato. Don Dario Zanini nel suo celebre “Marzabotto e dintorni” tenne volutamente celato per cristiana riservatezza, con la sigla P.R., il nome dell’uomo che provocò la rappresaglia. Per amore della verità e della storia, senza nessun becero revisionismo di sorta e con tutta la solidarietà alla nostra resistenza che scrisse pagine gloriose e tragiche comunico che Vox Populi afferma sia stato Preci Ruggero di Monte Pastore a ferire mortalmente il tedesco e a permettere agli altri tre suoi camerati di fuggire, dando così l’allarme al comando germanico di Montasico. Il Preci che fu prima repubblichino e che poi si diede alla macchia con i partigiani della “Bolero” fu sentito più volte vantarsi dell’uccisione del tedesco salvo poi ricusare tale azione. A Don Zanini disse: << Eravamo nascosti in mezzo al bosco, sopra Cà di Bue. All’improvviso vidi sbucare un tedesco a cavallo e istintivamente sparai a ripetizione. Io e i miei compagni poi scappammo e ci salvammo. Di tedeschi ce ne dovevano esser altri, ma io vidi solo quello>>. Il Preci fu visto anche partecipare qualche volta alla commemorazione dei defunti, ma fu vero pentimento o era lì solo per accompagnare una figlia delle vittime che per ironia della sorte sposò? Un particolare commovente che fotografa la tragedia di quel 5 agosto del “44 è quel tavolo con il piatto di tagliatelle del nonno Dionigio ormai ammuffite su cui la nonna di Ruggero Neri pianse al ritorno da Montasico.
Claudio Evangelisti