"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva
dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra;
spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: Il braccialetto di Eva Braun è a Cà Santoni BO (2014-08-06)
IL TESORO DI CA’ SANTONI
Il braccialetto di Eva Braun è a Cà Santoni, lo trovò il papà di Augusta Zenzocchi davanti al bunker dove Hitler si suicidò insieme alla moglie.
Sembra una storia incredibile quella legata ad un prezioso monile d’argento che a partire dal maggio 1945, viaggiò da Berlino fino alla storica locanda “la Lanterna” di Cà Santoni, situata sin dal 1870 in mezzo all’abetaia di Pian del Voglio. Se non fosse stato per la grande amicizia che lega la conosciutissima ristoratrice Augusta alla giornalista del Resto del Carlino, Veronica Balboni, questa scoperta sarebbe rimasta confinata nell’ambito di questo sperduto borgo di montagna situato al confine dei possedimenti del Conte Ranuzzi e la Toscana. Il racconto di quel che accadde quel giorno in cui a Berlino si concluse la guerra in Europa, è stato raccontato da Giovanni Zenzocchi(1915-2001) al ricercatore di storia locale Domenico Galeotti a sua volta amico della reporter Veronica Balboni che fece pubblicare l’articolo sul Carlino il 21 febbraio 2010. L’avventura del babbo di Augusta Zenzocchi inizia nel marzo del 1940 quando fu richiamato alle armi per combattere contro i partigiani jugoslavi di Tito fino all’armistizio del settembre 1943. In seguito ala confusione generata dall’annuncio di Badoglio, il comandante del battaglione preferì tenere uniti i suoi soldati fino all’arrivo dei tedeschi che li presero in consegna come prigionieri. A Zenzocchi fu assegnata una carta d’identità nel quale figurava come operaio in una fabbrica di carri armati, ma fu subito destinato assieme agli altri commilitoni nel tristemente noto campo di concentramento di Mathausen; lì un ufficiale italiano apprese ed informò i soldati che gli ebrei venivano sterminati. Fortunatamente, grazie allo status di operai specializzati, quel gruppo di italiani fu trasferito in un campo di lavoro a Luchtenwald nei pressi di Berlino. Zenzocchi, potè sopravvivere al misero rancio composto di cavoli e patate, scambiando le sigarette con i viveri che la croce rossa internazionale portava ai prigionieri francesi. Nel frattempo, gli americani provenienti da ovest e i russi che premevano da est, erano ormai vicinissimi e sul campo tedesco si abbattè un tremendo bombardamento da parte degli alleati che durò per ben tre giorni senza tregua. Zenzocchi si salvò rifugiandosi dentro un tubo di ferro largo appena 70 centimetri. Dopo il bombardamento i soldati italiani vennero trasferiti a Spandau dove trovarono i soldati russi che li presero con loro per costruire un ponte di legno nella Berlino che stava per arrendersi ai sovietici. Era la fine dell’aprile 1945 e Hitler all’interno del suo bunker ormai accerchiato, esaudisce il desiderio più grande di Eva Braun: alle prime ore del 29 aprile, sono in piedi davanti a un ufficiale dello stato civile per sbrigare le formalità del matrimonio. Nel pomeriggio del 30 aprile 1945, Adolf Hitler e sua moglie si suicidano insieme. Hitler ingoia una capsula di cianuro e si spara. Eva prende soltanto il veleno. Hitler era morto, ma la battaglia di Berlino continuava. Il Generale Weidling, comandante di fresca nomina, ordinò il "cessate il fuoco" il 2 maggio 1945, mentre una fredda pioggerella cadeva sulla città. Ed ecco cosa raccontò Zenzocchi che visse quel giorno in prima persona: “ Apprendemmo che Hitler si era suicidato e il corpo bruciato nel giardino del suo bunker. Subito ci recammo sul luogo e trovammo ossa bruciacchiate attorno al bunker, io con sorpresa vidi un braccialetto da donna in argento, era seminascosto tra le ceneri, lo raccolsi ma mi fu difficile stabilirne l’appartenenza. Osservai l’imponente bunker in cemento armato, con diverse scale che scendevano nei sotterranei”.
Zenzocchi fu poi trasferito dai russi a Wanzai dove rimase sei mesi e in seguito insieme ad altri 300 italiani, decisero di spostarsi in direzione dell’Italia. Con i marchi trovati dentro alla cassaforte di una banca crollata, pagarono il cibo che gli agricoltori gli vendevano durante il tragitto e fu così che riuscirono ad arrivare in treno fino a Bolzano. Il 25 settembre 1945 arrivò a Cà Santoni dove apprese che il fratello Dino era stato ucciso dai miliziani fascisti insieme al cugino Paolino Pasqui, perché sospettati di collaborazionismo con i partigiani. C’è chi sostiene che si trattò di una delazione, a causa di un aspro rancore inspiegabile, da parte di repubblichini del luogo, i quali diedero ai loro superiori informazioni errate. Passarono gli anni e Augusta racconta che un giorno suo padre le disse: “Conserva questo bracciale, ti porterà fortuna, l’ho trovato là dove ero, tienilo con te”. Il bracciale reca internamente la scritta “hand arb 800 ok”. Non esiste un certificato di autenticità del monile che dimostri l’appartenenza ad Eva Braun ma noi vogliamo credere al racconto di Giovanni Zenzocchi e comunque sia per Augusta, il braccialetto rappresenta il grande affetto che il papà aveva per lei. Claudio Evangelisti
Scritti di Claudio Evangelisti
Titolo: Il braccialetto di Eva Braun è a Cà Santoni BO (2014-08-06)
IL TESORO DI CA’ SANTONI
Il braccialetto di Eva Braun è a Cà Santoni, lo trovò il papà di Augusta Zenzocchi davanti al bunker dove Hitler si suicidò insieme alla moglie.
Sembra una storia incredibile quella legata ad un prezioso monile d’argento che a partire dal maggio 1945, viaggiò da Berlino fino alla storica locanda “la Lanterna” di Cà Santoni, situata sin dal 1870 in mezzo all’abetaia di Pian del Voglio. Se non fosse stato per la grande amicizia che lega la conosciutissima ristoratrice Augusta alla giornalista del Resto del Carlino, Veronica Balboni, questa scoperta sarebbe rimasta confinata nell’ambito di questo sperduto borgo di montagna situato al confine dei possedimenti del Conte Ranuzzi e la Toscana. Il racconto di quel che accadde quel giorno in cui a Berlino si concluse la guerra in Europa, è stato raccontato da Giovanni Zenzocchi(1915-2001) al ricercatore di storia locale Domenico Galeotti a sua volta amico della reporter Veronica Balboni che fece pubblicare l’articolo sul Carlino il 21 febbraio 2010. L’avventura del babbo di Augusta Zenzocchi inizia nel marzo del 1940 quando fu richiamato alle armi per combattere contro i partigiani jugoslavi di Tito fino all’armistizio del settembre 1943. In seguito ala confusione generata dall’annuncio di Badoglio, il comandante del battaglione preferì tenere uniti i suoi soldati fino all’arrivo dei tedeschi che li presero in consegna come prigionieri. A Zenzocchi fu assegnata una carta d’identità nel quale figurava come operaio in una fabbrica di carri armati, ma fu subito destinato assieme agli altri commilitoni nel tristemente noto campo di concentramento di Mathausen; lì un ufficiale italiano apprese ed informò i soldati che gli ebrei venivano sterminati. Fortunatamente, grazie allo status di operai specializzati, quel gruppo di italiani fu trasferito in un campo di lavoro a Luchtenwald nei pressi di Berlino. Zenzocchi, potè sopravvivere al misero rancio composto di cavoli e patate, scambiando le sigarette con i viveri che la croce rossa internazionale portava ai prigionieri francesi. Nel frattempo, gli americani provenienti da ovest e i russi che premevano da est, erano ormai vicinissimi e sul campo tedesco si abbattè un tremendo bombardamento da parte degli alleati che durò per ben tre giorni senza tregua. Zenzocchi si salvò rifugiandosi dentro un tubo di ferro largo appena 70 centimetri. Dopo il bombardamento i soldati italiani vennero trasferiti a Spandau dove trovarono i soldati russi che li presero con loro per costruire un ponte di legno nella Berlino che stava per arrendersi ai sovietici. Era la fine dell’aprile 1945 e Hitler all’interno del suo bunker ormai accerchiato, esaudisce il desiderio più grande di Eva Braun: alle prime ore del 29 aprile, sono in piedi davanti a un ufficiale dello stato civile per sbrigare le formalità del matrimonio. Nel pomeriggio del 30 aprile 1945, Adolf Hitler e sua moglie si suicidano insieme. Hitler ingoia una capsula di cianuro e si spara. Eva prende soltanto il veleno. Hitler era morto, ma la battaglia di Berlino continuava. Il Generale Weidling, comandante di fresca nomina, ordinò il "cessate il fuoco" il 2 maggio 1945, mentre una fredda pioggerella cadeva sulla città. Ed ecco cosa raccontò Zenzocchi che visse quel giorno in prima persona: “ Apprendemmo che Hitler si era suicidato e il corpo bruciato nel giardino del suo bunker. Subito ci recammo sul luogo e trovammo ossa bruciacchiate attorno al bunker, io con sorpresa vidi un braccialetto da donna in argento, era seminascosto tra le ceneri, lo raccolsi ma mi fu difficile stabilirne l’appartenenza. Osservai l’imponente bunker in cemento armato, con diverse scale che scendevano nei sotterranei”.
Zenzocchi fu poi trasferito dai russi a Wanzai dove rimase sei mesi e in seguito insieme ad altri 300 italiani, decisero di spostarsi in direzione dell’Italia. Con i marchi trovati dentro alla cassaforte di una banca crollata, pagarono il cibo che gli agricoltori gli vendevano durante il tragitto e fu così che riuscirono ad arrivare in treno fino a Bolzano. Il 25 settembre 1945 arrivò a Cà Santoni dove apprese che il fratello Dino era stato ucciso dai miliziani fascisti insieme al cugino Paolino Pasqui, perché sospettati di collaborazionismo con i partigiani. C’è chi sostiene che si trattò di una delazione, a causa di un aspro rancore inspiegabile, da parte di repubblichini del luogo, i quali diedero ai loro superiori informazioni errate. Passarono gli anni e Augusta racconta che un giorno suo padre le disse: “Conserva questo bracciale, ti porterà fortuna, l’ho trovato là dove ero, tienilo con te”. Il bracciale reca internamente la scritta “hand arb 800 ok”. Non esiste un certificato di autenticità del monile che dimostri l’appartenenza ad Eva Braun ma noi vogliamo credere al racconto di Giovanni Zenzocchi e comunque sia per Augusta, il braccialetto rappresenta il grande affetto che il papà aveva per lei. Claudio Evangelisti